XXXVIII Premio Abbiati – vincitori stagione 2018
Riunione Milano, 14 aprile 2019
La commissione della 38esima edizione del Premio “Abbiati” (Alessandro Cammarano, Luca Della Libera, Paola De Simone, Andrea Estero, Carlo Fiore, Angelo Foletto, Enrico Girardi, Giancarlo Landini, Gianluigi Mattietti, Gregorio Moppi, Carla Moreni, Alessandro Mormile, Paolo Petazzi, Lorenzo Tozzi) riunita presso l’Associazione del Loggione del Teatro alla Scala, dopo avere considerato le segnalazioni scritte fatte pervenire in fase consultiva dai colleghi, ha designato i vincitori per l’anno 2018.
Per la nuova, autentica lettura di Graham Vick, che ha restituito un tempo contemporaneo e insieme assoluto al teatro della giovinezza di Puccini in sinergia con scene, costumi e luci, e l’ha consegnato ad una ideale squadra bohèmienne, con le voci di Mariangela Sicilia, Francesco Demuro, Matteo Lippi, Nicola Alaimo, Sergio Vitale, intrecciato in perfetto dialogo con la concertazione analitica e sfaccettata di Michele Mariotti, nello spettacolo di apertura di stagione.
Per il “Progetto Bernstein” con i complessi artistici dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, in occasione del centenario della nascita dell’autore. Per aver restituito al pubblico l’idioma tutto particolare di «West Side Story» con autorevolezza e profonda adesione a un linguaggio nel quale convergono tradizioni e stilemi diversi, grazie anche alla profonda sintonia maturata con l’orchestra e il coro.
Per la regia del Billy Budd di Britten rappresentato all’Opera di Roma, in cui Deborah Warner ha saputo conferire profondità psicologica ed umana ai personaggi delineati dalla musica, trasformando in pura poesia il realismo di un allestimento straordinario e moderno dalla potenza evocativa quasi shakespeariana: una parabola laica sul bene e il male che conserva tratti di ambiguità e universalità dell’esperienza umana.
Nell’Orlando furioso al Teatro Malibran di Venezia e nel Giulietta e Romeo al Festival della Valle d’Itria Giuseppe Palella ha dimostrato la sua cifra di costumista geniale, capace di affabulare attraverso uno studio acuto del dettaglio in cui la forma diviene sostanza. Se nell’opera vivaldiana il Settecento incontra il liberty in un tripudio di colori, nel dramma di Vaccaj emerge la maestria nell’uso del nero in ogni sua più riposta declinazione, cogliendo la natura più intima delle due opere.
Fiordiligi nel Così fan tutte al Teatro Regio di Torino, Contessa nelle Nozze di Figaro al Teatro dell’Opera di Roma e Donna Anna nel Don Giovanni al Teatro Comunale di Bologna, il giovane soprano Federica Lombardi si è messa in luce come interprete mozartiana di riferimento, per il nobile rigore dello stile, la morbida linea vocale e la pastosa malia timbrica.
Federico Piccotti violino Matteo Mizera viola Daniel Mizera violoncello Bernat Català Rams pianoforte.
Portati a termine dopo una lunghissima gestazione, le «Scene e monologhi da Fin de Partie di Beckett», prima opera di teatro musicale di György Kurtág, sono uno dei raggiungimenti più alti del suo percorso artistico. La trama sensibilissima di ombre sonore e sfingei impulsi timbrici tenuti in sofisticato e miracoloso equilibrio tra sensi poetici e musicali caratterizza una partitura capitale che il Teatro alla Scala, e il suo sovrintendente, hanno avuto il merito di portare in scena dispiegando eccezionali sforzi artistici e produttivi, e in virtuosa collaborazione con Milano Musica che ha programmato un festival monografico coinvolgente e imprescindibile intorno alla storica ‘prima’.
Nella bellissima rappresentazione che lo ha fatto ascoltare in Italia a tredici anni dal debutto, Richard III di Giorgio Battistelli si è confermata una delle sue opere migliori. Nata dall’intenso rapporto con la tragedia di Shakespeare nella magistrale riduzione di Ian Burton, con un linguaggio aperto a soluzioni diverse, dove tra l’altro era impressionante e affascinante la scrittura orchestrale; risolutiva nel creare un clima di opprimente cupezza e nel conferire all’angoscioso incalzare degli eventi una serrata continuità, in magnifica corrispondenza con l’intensità, la rapidità e l’essenzialità dello spettacolo di Robert Carsen.
Nelle scene della Francesca da Rimini di Zandonai al Teatro alla Scala, tra richiami allo Jugendstil e al Medioevo ‘cortese’, Leslie Travers rappresenta con efficacia l’annientamento dell’amore che soccombe alla violenza ferrigna della torre irta di cannoni. Le eco dannunziane come la statua muliebre del Vittoriale e il relitto del biplano del volo su Fiume rimandano ad un ulteriore omaggio al testo letterario, sottolineando allo stesso tempo l’azione e la musica.
Virtuoso del violino – tanto da solista, quanto da maestro concertatore e didatta – Enrico Onofri rappresenta l’ideale prosecuzione della scuola violinistica italiana compresa tra Corelli a Paganini. La sua assidua attività concertistica internazionale, in Italia per esempio all’Oratorio del Gonfalone di Roma e al Festival Purtimiro di Lugo di Romagna, coniuga lo studio e la pratica delle prassi esecutive storiche con un senso di artificio e naturalezza capaci di riportare in auge l’antico concetto di “sprezzatura”.
Timbro di basso di singolare bellezza, Ildar Abdrazakov ha messo al servizio del canto verdiano la sua voce preziosa nel timbro, morbida nell’emissione, sicura in tutta la gamma, sostenuta da una tecnica eccellente. La dizione nitida e scandita, il fraseggio incisivo, lo stile nobile, l’affascinante presenza scenica sono apparsi evidenti nel Silva dell’«Ernani» e nel ruolo del titolo dell’Attila che ha interpretato con pieno successo al Teatro alla Scala.
Per la qualità e molteplicità delle iniziative nel campo della ricerca, produzione e diffusione della musica storicamente informata – di cui dice la nuova intestazione «Centro di Musica Antica della Fondazione Ghislieri – che hanno saputo combinare l’elevato profilo artistico e la competenza scientifica operata attraverso il impegno discografico e concertistico di coro e orchestra, le ramificate attività didattiche e vivaci proposte programmatiche ben inserite e riconosciute internazionalmente.
Per l’intelligenza e la pertinenza con cui autori, sceneggiatori e realizzatori hanno lavorato sul linguaggio del cartone animato per accendere nei piccoli spettatori la passione per la grande musica; assecondando le logiche ma nobilitando le funzioni del collaudato genere di intrattenimento. Con testi e dialoghi mutuati dal pensiero sulla musica del “Maestro” Daniel Barenboim, egli ascolti selezionati da Luca Ciammarughi ben gestiti nella trama narrativa dei cinquanta episodi, la serie televisiva ideata da Piero Maranghi, Giorgio Welter e Agathe Robilliard, a cui hanno aderito tra gli altri le tv pubbliche italiana e francese, è un esempio eccellente delle potenzialità formative e didattiche della televisione.