XL Premio Abbiati – vincitori stagione 2020
Riunione telematica, 17 aprile 2021
Di fronte all’annata artistica tormentata dalle restrizioni, scandita dalle chiusure, condizionata dalla situazione di incertezza perenne che ha costernato le attività musicali dal vivo, la giuria della 40esima edizione del “Premio Abbiati” aveva due scelte. Cancellare l’edizione o trovare il modo di riconoscere e sottolineare la resistenza, l’impegno e la qualità comunque perseguite attraverso segnalazioni emblematiche di alcune iniziative portate a compimento. Nell’emergenza, la musica in Italia è rimasta viva. Più che altrove. La maggior parte dei musicisti e delle istituzioni ha saputo reiventarsi. Ha lavorato (e fatto lavorare). Ha escogitato sistemi per rimanere accanto al pubblico e non venire meno al proprio ruolo sociale e di presidio culturale. Ha tenuto in vita l’operatività fisiologicamente necessaria di orchestre, cori, maestranze, festival e teatri. Ha comunicato in forme diverse con spettatori e appassionati, che insieme agli artisti e alla società civile fiduciosa nel valore dello spettacolo dal vivo, sono state le vittime più esposte e colpite dalla situazione generale.
Per tale ragione, riunita a distanza, la commissione della 40a edizione del Premio “Abbiati” (Danilo Boaretto, Alessandro Cammarano, Sandro Cappelletto, Paola De Simone, Andrea Estero, Carlo Fiore, Angelo Foletto, Susanna Franchi, Gregorio Moppi, Giancarlo Landini, Gianluigi Mattietti, Carla Moreni, Alessandro Mormile, Paolo Petazzi) ha scelto di non attribuire valutazioni individuali, tranne per alcuni riconoscimenti che di per sé lo esigono. Ma ha deciso di raccontare e riassumere l’intero mondo musicale italiano con quattro «Premi speciali» motivati in ampiezza e sostanza critica. Segnalando il valore, l’originalità e l’intraprendenza di iniziative ‘collettive’ e progettuali, o di individualità, che hanno combinato orgoglio e innovazione, dignità artistica e sensibilità sociale, adattabilità e riorganizzazione di spazi e modi operativi.
Se non è permesso l’accesso del pubblico a teatro, e se l’opera che comunque si esegue in teatro andrà poi sugli schermi della Rai, il linguaggio con cui viene interpretata e raccontata va reinventato: questo il ragionamento sotteso al Barbiere di Siviglia che l’Opera di Roma ha prodotto ricreando un Rossini decisamente fuori dagli schemi, con la regia di Mario Martone tesa a ricreare negli spazi vuoti del Teatro Costanzi luoghi dell’immaginazione e della nostalgia, dove distribuire la storia con velocità e ironia. A sovrastarla un’enorme tela di ragno, un soffitto immaginario costruito con chilometri di corda, che con gesto simultaneo veniva infine tagliata sul concertato conclusivo, quale gesto collettivo liberatorio. Senza la presenza carismatica, tenace, forte e persino spiritosa di Daniele Gatti il progetto del Barbiere come un film non sarebbe andato in porto: il podio era il collante di questa inedita avventura musicale, di gesto esatto e vaporoso su un’orchestra ben affilata, e di rara bravura nel tenere assieme cantanti giovani in uno spazio fisico e immaginativo molto diverso dalle misure tradizionali dei teatri. Sette telecamere, registrazione delle scene attraverso la ripetizione dei ciak, esattamente come in un film, costumi di recupero da precedenti produzioni, amorosamente collezionati da Anna Biagiotti, e luci fondamentali di Pasquale Mari. La cornice emozionante era nutrita della volontà di tenere vivo il teatro, anche come luogo fisico, in sé; facendolo ricordare – o scoprire – alla vasta platea degli spettatori televisivi.
Spostata dal Teatro Regio al Parco Ducale, la versione francese del Macbeth di Verdi, nella revisione appositamente predisposta da Candida Mantica sull’edizione critica di David Lawton, ha saputo, anche in forma di concerto anziché scenica essere la proposta di qualità emblematica del profilo di ricerca e spettacolare del Festival Verdi. Facendo valere, al di là delle coercizioni logistiche e delle idonee sperimentazioni di sicurezza, i meriti dei singoli protagonisti musicali (in particolare Roberto Abbado, Ludovic Tézier, Silvia Dalla Benetta, la Filarmonica Toscanini e il Coro del Regio) e la qualità di un progetto artistico altrimenti a rischio di cancellazione. Rintracciando nella disposizione dei musicisti, non naturale né agevole da padroneggiare in concertazione ma acusticamente redditizia, una dimensione narrativa tenebrosa e insinuante che suonava in perfetta sintonia con l’elemento naturale. Così come il palco agile e funzionale – che nella sua a-spazialità rimandava al Teatro Continuo di Alberto Burri – si congiungeva allo sfondo di Palazzo Ducale, come una suggestiva quinta monumentale: eco del palcoscenico al chiuso forzatamente abbandonato.
“Creatore” di numerosi lavori firmati da autori viventi, il MDI ENSEMBLE si è distinto per la dedizione nei confronti dei repertori contemporanei che ha affrontato con disciplina analitica e compenetrazione poetica, individuando nel dialogo diretto con i compositori eseguiti la chiave di accesso per decifrare partiture di segno diversissimo, sempre coltivando una propria cifra sonora e interpretativa. Promotore della diffusione del nuovo repertorio in numerosi festival internazionali e italiani (tra cui, di recente, come “residente” a Milano Musica), l’Ensemble ha organizzato la rassegna The Sound of Wander, contribuendo alla scoperta italiana di autori della scena internazionale e alla diffusione della cultura esecutiva della contemporaneità anche con master e laboratori performativi. Associando nei programmi concertistici Novecento storico, nuova musica e musica d’oggi – il nuovo e l’antico della contemporaneità – e assumendosi l’impegno e la sfida dell’organizzare musica, ha riproposto in un nuovo contesto generazionale la lezione culturale e umanistica, indimenticabile, di Mario Messinis.
Per l’originalità dell’idea musicale, che prendendo spunto da otto antichi canti popolari slovacchi, e della sua realizzazione vocale e strumentale, crea un effetto straniante e di grande carica evocativa. In questo lavoro, il cui titolo significa «Dalla cassapanca di mia bisnonna», gli otto canti contadini vengono distribuiti tra altrettanti gruppi orchestrali, autonomi e timbricamente distinti, suonati simultaneamente e riecheggiati dalla voce femminile, in un intreccio vivido e caleidoscopico. Premio “Filippo Siebaneck”: I 32 brevi videoclip della rassegna ONLINE FOR KIDS, realizzati da Gregorio Mazzarese, Vincenzo de Carlo, Laura de Mariassevich, Lorenzo Izzo, e trasmessi sul canale Youtube dell’Accademia di Santa Cecilia, nel periodo più duro del lockdown hanno raggiunto e coinvolto moltissimi bambini (più di 170.000 visualizzazioni in tutto il territorio nazionale tra marzo e maggio). Attraverso l’uso di oggetti casalinghi e racconti fantasiosi, il progetto educational ha trasmesso in maniera ludica e leggera alcune basi della grammatica musicale, elementi di ritmo e di intonazione, informazioni sui grandi compositori e su culture musicali extraeuropee.
La scommessa di non deludere le aspettative degli appassionati di musica sinfonico-strumentale, il dovere di affermare la voglia di non darsi per vinti, l’orgoglio di farsi testimoni attraverso la musica della presenza delle istituzioni nei luoghi-simbolo della tragedia pandemica, si sono incarnati nelle «Stagioni» di Vivaldi che gli archi dei Pomeriggi Musicali hanno suonato al Teatro dal Verme di Milano il 15 giugno 2020. Senza perdere un minuto, allo scoccare della mezzanotte del giorno in cui ai teatri fu concesso di riaprire, l’esecuzione affidata all’estro solistico e concertatore di Stefano Montanari s’è impadronita del luogo naturale e spirituale della musica dal vivo restituendolo al pubblico contingentato ma reale. La riconquista di spettatori e spazi non virtuali è continuata con dieci giorni di ripetizioni del programma, in appuntamenti dedicati e rivolti a pubblici specifici (senza però escludere quello remoto dello streaming) e con un corollario di repliche anche civilmente simboliche nelle città lombarde più colpite. Non frenati o in soggezione delle oggettive difficoltà operative imposte dai decreti in stato di emergenza. Testimonianza ottimistica e ostinata del voler continuare a fare concerti – e, per quanto adempibile, dal vivo – facendo suonare i musicisti, per interpretare senza compromessi il ruolo di servizio culturale pubblico a favore della comunità che altre realtà musicali parimenti sostenute pubblicamente hanno praticato con minore tempismo, continuità e tenacia.
In gennaio, nel tempo di ieri, tutto era iniziato regolarmente secondo programma, con un Parsifal wagneriano eloquente, narrativo, concertato in stretta sintonia d’intenti con la regia di Graham Vick: non solo riletto, ma raccontato al presente, senza paura di scendere nel torbido o dissacrante. Nel calendario di Omer Meir Wellber, direttore israeliano, 39 anni, il 2020 era segnato come anno numero uno al Massimo di Palermo, con il nuovo scettro di guida musicale del Teatro. A nemmeno un mese dall’ultima replica, Parsifal sarebbe diventato inconsapevolmente uno dei monumenti a una storia destinata a finire, a chiudere, perdurando questa incertezza ancora fino ad ora. In quel silenzio obbligatorio e necessario per ragioni di sicurezza sanitaria, il Massimo ha trovato in Wellber una guida presente, piena di energia (appena le regole lo hanno permesso) e soprattutto di idee musicali. Capace di rinnovare la bellezza del suono di Wagner in un Don Giovanni di Mozart, che reinventava la meravigliosa acustica del Teatro con l’Orchestra disposta in platea. Al fortepiano, lo stesso direttore non solo concertava con lucida esattezza la partitura ma insieme reinventava con estro i recitativi, osandoli anche in versione di canzone americana. Nella maratona di musica, dopo il silenzio di mesi, brillavano gli omaggi a Beethoven e a sorpresa una serata di jazz, nella chiesa scoperchiata dello Spasimo, dove l’eclettico fantasista Wellber suonava fisarmonica e pianoforte. A confermare un nuovo profilo, a tutto tondo, per il ruolo di direttore principale e musicale di cui non potremo più fare a meno.
Sara Pastine, Fausto Cigarini violini, Salvatore Borrelli viola, Lorenzo Cosi violoncello.