XLII Premio Abbiati – vincitori stagione 2022
Riunione Bergamo, 19 aprile 2023
Considerate le segnalazioni fatte pervenire in fase consultiva dai colleghi, la commissione della 42esima edizione del Premio “Abbiati” (Alessandro Cammarano, Andrea Estero, Carlo Fiore, Susanna Franchi, Giancarlo Landini Patrizia Luppi, Gianluigi Mattietti, Gregorio Moppi, Carla Moreni, Stefano Nardelli, Roberta Pedrotti, Paolo Petazzi, Alessandro Rigolli) presieduta da Angelo Foletto, e riunita agli Amici del Loggione di Milano, ha designato i vincitori per l’anno 2022.
Direttore Riccardo Frizza, regia Valentina Carrasco (Donizetti Opera). Per aver restituito una pietra miliare dell’opera ottocentesca e della produzione del compositore bergamasco nella sua forma integrale e originale, secondo edizione critica, e in una produzione in cui compagnia di canto, concertazione e regia hanno condiviso scrupolo stilistico e moderna interpretazione delle strutture e della drammaturgia da grand-opéra.
Le sonate per pianoforte di Salvatore Sciarrino (Milano, Fabbrica del Vapore)
Per il progetto di esecuzione integrale delle Sonate per pianoforte di Sciarrino affidate a quattro allievi – Dmitry Batalov, Daniele Fasani, Maria Iaiza, Annalisa Orlando – dal virtuosismo straordinario: preparati e orientati da Maria Grazia Bellocchio, pianista e docente capace di trasmettere i segni della contemporaneità con intelligente analisi e strenua ricerca tecnica.
Per la capacità di offrire dal 2009, fondendo l’eredità dei precedenti Rec-Reggio Emilia Contemporanea e Red-Reggio Emilia Danza, una visione ampia e trasversale del panorama della musica e dei linguaggi espressivi contemporanei, proponendo cartelloni il cui tratto originale miscela generi e stili artistici in un’ottica feconda e multidisciplinare. Un carattere che ha contraddistinto lo sguardo acuto, profondo e curioso di Roberto Masotti, ispirato artista della fotografia dedicata alle musiche e alle arti del nostro tempo.
A Gianluca Capuano che sul podio dei Musiciens du Prince-Monaco ha restituito la partitura con fantasiose gradazioni di colore, mobilità ritmica, morbidezza di legato, lucente bellezza di suono. La tensione drammatica della sua direzione si è espressa tanto nell’espansività virtuosistica del canto quanto nelle pagine introspettive, in completa consonanza con l’allestimento scenico creato per Salisburgo e il cast.
Barbara Hannigan soprano, Stephen Gosling pianoforte (Spoleto, Festival dei Due Mondi). Al ciclo per voce e pianoforte Jumalattaret riscritto per la vocalità svagata, acrobatica e incantatoria di Barbara Hannigan, interprete anche del ciclo Split in the dark su poesie di Emily Dickinson che ha riportato l’attenzione su John Zorn, autore rappresentativo di una tradizione musicale basata sulla complessità onnicomprensiva di linguaggi, da Ives a Bernstein, che ama le incursioni nella pura scrittura d’avanguardia e da cui filtrano in controluce maniere jazzistiche e riti sciamanici.
Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij (Napoli, Teatro di San Carlo); Die Dreigroschenoper di Bertolt Brecht e Kurt Weill (Romaeuropa Festival). A Barrie Kosky per due spettacoli che, sebbene prodotti al di fuori dal nostro Paese, hanno rivelato per la prima volta al pubblico italiano modernità di sguardo e originalità di metodo drammaturgico nel misurarsi con due classici da parte di una delle grandi personalità registiche nel teatro musicale del nostro tempo.
A Leila Fteta per le scene e i costumi capaci di proiettare l’azione letteralmente “dentro” una roulette deformata e straniante anche attraverso geniali rimandi alla poetica pittorica di Aristarch Lentulov e più in generale all’Avanguardia Russa, esaltando con sagace acutezza il dettato registico.
Per l’equilibrio di tecnica, originalità di analisi, concentrazione e comunicativa che caratterizzano lo stile del pianista che in dieci anni, da giovane vincitore del Premio Venezia per i migliori diplomati dei Conservatori, ha spiccato il volo imponendosi nella vita musicale e nei concorsi internazionali più prestigiosi.
All’ensemble “La fonte musica”, diretto da Michele Pasotti, felice connubio tra prassi esecutiva e musicologia, capace di accompagnarci tanto nelle dolci trasparenze del Trecento italiano quanto nei più fitti velami dell’Ars subtilior.
A Lisette Oropesa che ha confermato il suo rapporto privilegiato con il repertorio italiano del primo Ottocento. Alla bellezza della voce fuori dal comune per timbro e colore, alla competenza tecnica e dello stile, il soprano americano unisce un’incisiva personalità d’artista: doti che le hanno consentito di dare pieno rilievo alla vocalità di Giulietta e di Elvira e di rivelare la forza espressiva del belcanto che Bellini mette al servizio della drammaturgia.
A Andrew Staples, protagonista dell’opera di Britten che con linea di canto duttilissima e partecipe ha disegnato il tormento della solitudine che schiaccia Grimes trovando accenti che passano dalla sognante liricità alla disperazione cruda, e calandosi perfettamente nelle atmosfere opprimenti immaginate dal regista Paul Curran.
Jingzhi Zhang e Giacomo Lucato (violini), Matilde Simionato (viola), Martino Simionato (violoncello).
Al progetto che ha coordinato produzione, divulgazione e musicoterapia intendendo la disabilità come una diversa abilità da cui trarre anche stimoli e risorse artistiche. Accanto a iniziative per ipo- e non vedenti, l’integrazione del linguaggio dei segni e della percezione dei non udenti, le rappresentazioni di Don Giovanni e Rigoletto hanno offerto una nuova prospettiva dell’esperienza musicale e teatrale coinvolgendo chi normalmente pensa di non potervi accedervi con i propri sensi.