XXXV Premio Abbiati – vincitori stagione 2015
Riunione Bergamo, 7 giugno 2016
La commissione della 35esima edizione del Premio “Abbiati” (Alessandro Cammarano, Danilo Boaretto, Andrea Estero, Carlo Fiore, Angelo Foletto, Enrico Girardi, Giancarlo Landini, Gianluigi Mattietti, Gian Paolo Minardi, Gregorio Moppi, Carla Moreni, Alessandro Mormile, Paolo Petazzi), anche sulla base delle segnalazioni scritte fatte pervenire in fase consultiva dai colleghi, ha designato i vincitori 2015.
Per aver condotto felicemente in porto la sfida di far rivivere Anna Bolena in edizione critica completa, per la prima volta in età moderna. Per l’intelligenza della lettura, giocata sul filo di dinamiche stringenti ma mai convulse e di ritmi capaci di sciogliersi in elegiache morbidezze, che ha illuminato di luce nuova il titolo d’autore inserendosi con autorità nella storia interpretativa donizettiana di cui Gianandrea Gavazzeni è stato maestro, con esiti storici proprio a partire dalla prima riscoperta moderna di Anna Bolena nel 1957.
Per la bravura, il braccio impeccabile, il pensiero autentico, con cui ha concertato Falstaff di Verdi alla Scala osando una lettura profonda e nuova, Pelléas et Mélisande al Maggio Musicale Fiorentino decadente e romantico insieme, e le Sinfonie di Beethoven con la Mahler Chamber Orchestra in varie città italiane, ricreate secondo prospettive originali, in laboratorio di sonorità.
Per la risolutrice, condivisa e influente, inquadratura visiva dello spettacolo, che pur operando attraverso una struttura quasi fissa che richiamava uno schermo tablet, ne utilizzava con inventiva video-scenografica i dettagli grafici caratteristici: individuando, in dialogo serrato con la musica, una caratterizzazione spaziale e narrativa che operava da drammaturgia aggiunta, talvolta autosufficiente.
Per Parole di settembre (2012-13) proposto in apertura della Biennale Musica 2015, e Insieme (2015) commissione di Milano Musica, che presentavano sfaccettature diverse della sua musica e dell’originale ricerca sul suono. In particolare nei tre libri di Parole di settembre le “parole” di Sanguineti offrivano una grande varietà di stimoli che l’autore ha colto trasfigurato con estrosa ironia, con raffinata e sapiente scrittura strumentale, con mobile scrittura vocale.
Artista di spicco nel panorama dell’attuale scena lirica per tecnica, musicalità e convincente gioco scenico ha fornito prove di valore, sostenute dall’adeguata conoscenza dello stile di ogni partitura, come ha dimostrato alla Fenice di Venezia in Alceste di Gluck e al Donizetti di Bergamo in Anna Bolena, di cui ha cantato la versione integrale dell’edizione critica.
Per aver dimostrato, attraverso l’esecuzione a solo o in orchestra, che l’arte del virtuosismo pianistico si basa sul dominio della tecnica e sulla ricerca stilistica anziché sulla demagogia del giovane interprete di genio; per aver caratterizzato la scena pianistica contemporanea con esecuzioni paradigmatiche di Bach, Beethoven, Schumann, Čajkovskij, Bartók, Prokof’ev; per la leggerezza e l’ostinato rigore che la contraddistinguono in un panorama molto spesso offuscato dal sensazionalismo.
Fondato nel 2005 a Treviso da un gruppo di giovani guidati da Filippo Perocco, ha scelto un tipo di suono molto particolare, sfruttando vari tipi di estensioni elettroniche degli strumenti. Con 120 commissioni all’attivo, con il sostegno della Fondazione Siemens, con un’attività internazionale consolidata, organizza ogni anno una rassegna di musica contemporanea tra le più originali nel panorama italiano.
Per la qualità del progetto trasversale, aperto a tutta la città di Como, che si è ritrovata per la terza stagione consecutiva – in crescente entusiasmo – a cantare le parti corali di Pagliacci (dopo Cavalleria rusticana e Carmina Burana) affidate a centinaia di “dilettanti”, accuratamente preparati in appositi laboratori, a dimostrare la bellezza l’accessibilità e il ruolo sociale dell’opera partecipata.
Per la scelta inconsueta e coraggiosa di proporre in apertura di stagione, in prima nazionale nell’originale inglese, l’opera che in Italia era stata rappresentata solo nel 1968. Per la qualità complessiva dell’allestimento che si valeva della direzione di grande chiarezza e intensità di Stefan Soltesz, di una compagnia di canto di alto livello e della regia di Mario Martone che raccontava l’orrore della vicenda con efficacia e sapiente forza allusiva.
Per la qualità e intensità dello scavo psicologico con cui il regista ha decifrato e riconsiderato le relazioni tra i personaggi, in particolare tra Elettra e Clitennestra, sviluppando un gioco comportamentale ricco di notazioni minime ma penetranti, in grado di rendere giustizia al sofisticato esercizio decadentistico e ai serpeggianti risvolti ironici di libretto e partitura; e con un finale sconvolgente, di rivelatrice coerenza teatrale.
Per i bellissimi e scenografici costumi tradizionali, opulenti nei tessuti e minuziosi nella fattura, che nel primo e terzo atto sottolineavano con forza l’idea registica di un mondo fatalmente statico ove tutto sembra impedito. Per l’efficace contrasto con gli abiti miseri e quotidiani del secondo atto, attraverso i quali si estrinsecava la natura intima dei protagonisti e della loro arida e violenta sfera privata.
Anche se non è la prima volta che il visionario Der Gelbe Klang di Kandinskij viene trasformato in opera, Il Suono Giallo di Alessandro Solbiati, concepito come una sorta di sinfonia scenica, ha colpito il pubblico del Comunale di Bologna per la finezza e la densità della scrittura musicale (curatissima nella direzione di Marco Angius), ricca di atmosfere, di umori contrastanti, di continue metamorfosi armoniche, per la concentrazione espressiva degli intermezzi, per il raffinato gioco di “madrigalismi” nelle parti vocali, reso ottimamente dalla prova dei due cori e dei cinque solisti.
Baritono italiano che ha saputo, attraverso un fraseggio sincero ed equilibratissimo, offrire una interpretazione del protagonista nel Falstaff di Verdi al Teatro alla Scala, umanamente toccante, teatralmente equilibrata fra narcisistica ironia e irrefrenabile gioia di vivere, sempre nel segno di una sorvegliata disciplina vocale autenticamente verdiana.
Per l’assidua attività di ricerca, divulgazione ed esecuzione della musica d’insieme per strumenti a fiato dei secoli xvii e xviii, con particolare riferimento al barocco tedesco, al repertorio della Harmoniemusik e, in senso lato, a una civiltà del suono molteplice le cui sfumature sono sempre portatrici di senso; per l’ampiezza della gamma timbrica, l’eloquio del cantabile e la costante pregnanza delle scelte espressive che ne fanno da molti anni un punto di riferimento internazionale.
Per l’impegno e la passione cameristica presto indirizzata al repertorio di oggi di cui i giovani musicisti torinesi sono diventati interpreti e apostoli di riferimento, rimarcando l’importanza e la vitalità della letteratura quartettistica moderna e sollecitando la creatività degli autori per nuove composizioni dedicate.