XXXI Premio Abbiati – vincitori stagione 2011
Riunione Milano, 16 aprile 2012
Ospite degli Amici della Scala, la commissione della 31a edizione del Premio “Abbiati” ha designato i vincitori 2011, anche sulla base delle prime indicazioni scritte dei colleghi. Alla discussione hanno preso parte i componenti del consiglio direttivo (Alessandro Cammarano, Andrea Estero, Dino Foresio, Angelo Foletto, Gian Paolo Minardi, Paolo Petazzi) e gli otto rappresentanti dell’Associazione eletti con referendum interno (Danilo Boaretto, Enrico Girardi, Giorgio Gualerzi, Giancarlo Landini, Gianluigi Mattietti, Carla Moreni, Alessandro Mormile, Patrizia Luppi).
Per la ricca, anticonvenzionale, coraggiosa lettura proposta dal regista Graham Vick, vitale nel confronto simbolico, tutto al presente, con la drammaturgia dell’opera, affiancato dallo scenografo Stuart Nunn, dalla sontuosa trama sinfonica nei concertati messa in luce dal direttore Roberto Abbado e dalla coinvolta compagnia di canto che, nelle pregevoli voci di Alex Esposito, Sonia Ganassi, Dmitri Korchak, Riccardo Zanellato e Yijie Shi, fino alle giovani comparse locali, trasformava l’infelice PalaAdriatic Arena in un moderno modello di teatro.
Per la consapevole interpretazione, storicizzata, del dittico Pagliacci–Cavalleria Rusticana alla Scala, restituito con fine complessità, snellito da ogni retorica verista. E per i pregevoli impaginati sinfonici, con la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese e la Filarmonica scaligera, dominati con gesto autorevole e personalità spiccata dal direttore nato a Oxford, dal precocissimo debutto, ora maturo trentaseienne.
Per la funzionale suggestione dell’allestimento di Death in Venice di Britten (Milano, Teatro alla Scala), capace di richiamare in vita con soluzioni minimaliste e raffinate – come il piano lievemente inclinato che evocava un mare onnipresente, rilucente e livido, o i costumi primi Novecento giocati su tinte avorio e pastello – una Venezia malata e febbrile ma quasi metafisica, e di predisporre il palcoscenico ideale alla rappresentazione dell’ossessione della bellezza senza derive morbose voluta dallo spettacolo di Deborah Warner.
Nel breve giro di un mese ha piegato la pregevole voce di mezzo–soprano alle esigenze del lirismo straussiano e del virtuosismo rossiniano offrendo una mirabile interpretazione di Oktavian di Der Rosenkavalier di Strauss e di Elena in Donna del lago di Rossini (Milano, Teatro alla Scala) e dimostrando che il belcanto e le sue regole stanno alla base dell’intero repertorio. Individuato con precisione lo stile di ognuno dei titoli, ha disegnato i personaggi con l’avvenenza della figura e l’efficacia di un gioco scenico incisivo e credibile.
Per il costante valore della proposta musicale varia e stimolante, e di un’attività ventennale svolta nella straordinaria cornice dell’Olimpico e in tournées internazionali. Per l’interesse della strutturazione in organici cicli triennali dei programmi che ha consentito la riscoperta e la riproposta di opere mai o raramente eseguite in tempi moderni, accanto a versioni “alternative” di capolavori di Mozart e Rossini.
Ideata e avviata nel 2009 da Gian Andrea Lodovici, la rete di musicisti, medici e volontari che realizzano e coordinano stagioni di concerti negli ospedali, è cresciuta per la dedizione di numerosi eccellenti artisti che, disinteressatamente, continuano a esibirsi nelle corsie di varie città, divulgando il patrimonio musicale d’arte e trasmettendo le emozioni feconde e confortanti della musica dal vivo.
Eseguita e portata in palcoscenico in modo eccellente, la partitura si valeva del celebre testo di Heiner Müller, da cui il compositore ha tratto il libretto. Nella complessa concezione si accostavano o intrecciavano l’estrema mobilità della scrittura del complesso in buca (che crea un rapporto nervoso e flessibilissimo col duttile mutare delle inflessioni vocali) e il dilagare del suono dell’orchestra grande e del coro invisibili, che davano voce a dimensioni diverse da quella ‘chiusa’ della mortale partita a due giocata dai protagonisti.
Ambientata in una malfamata terra di confine tra Spagna e Africa, la Carmen messa in scena da Bieito con scene di Alfons Flores e costumi di Mercè Paloma al Teatro Massimo di Palermo (coproduzione con i teatri di Barcellona, Torino e Venezia) ha restituito al capolavoro di Bizet la sua teatralità ruvida, svelata da istantanee vitali e a volte scioccanti che si susseguivano in sintonia con i momenti cruciali della partitura componendo uno strepitoso racconto.
La felicissima intesa con Claudio Abbado ha reso ancor più nitida la qualità interpretativa della violinista tedesca, oltre che nelle mirabili realizzazioni dei Concerti di Beethoven e di Berg, nell’ardua prova mozartiana, dove la Faust è sembrata svelare la voce segreta del Concerto in La maggiore cogliendo dietro le movenze di un’eloquenza sostenuta e pure leggiadramente divagante nella brillantezza della turcheria finale i momenti di intima drammaticità, grazie ad un violinismo di rara finezza nella sinuosità del fraseggio, senza concessione all’effetto.
Uno dei tenori inglesi più duttili e intelligenti delle ultime generazioni, interprete di spicco della produzione di Death of Venice di Benjamin Britten (Milano, Teatro alla Scala) ha dato piena e completa realizzazione alla figura del protagonista Gustav von Aschenbach. Ha reso con naturalezza e rigore la complessità di un canto che si attua nel rapporto stretto e particolare tra suono e parola. Ha disegnato con indubbia originalità il personaggio, di cui ha penetrato la complessa e tormentata psicologia.
Per l’audace progetto di esecuzione dell’opera omnia iniziato nel 2009 e caparbiamente concluso, nonostante le drastiche e imprevedibili riduzioni dei finanziamenti pubblici, con una serie di produzioni operistiche e concertistiche di qualità musicale, chiamando a collaborare voci, concertatori e complessi strumentali italiani di significativa competenza stilistica e proprietà interpretativa, e proponendo letture sceniche non scontate.