XXX Premio Abbiati – vincitori stagione 2010
Riunione Milano, 13 aprile 2011
La commissione della 30a edizione del Premio “Abbiati” riunita a Milano il 13 aprile 2011, ha designato i vincitori per l’anno 2010.
Che ha trasferito il concetto di atelier dall’arte alla musica contemporanea, sostenendo di anno in anno nuovi compositori scelti e seguiti da un musicista di riferimento con la commissione di opere originali, perfezionate durante i workshop affidati a esecutori giovani e affermati. Un’idea di mecenatismo di livello, nello spirito che animava Duilio Courir, fondatore del Premio Abbiati, critico d’arte prima di essere critico musicale, attento al segno contemporaneo, visivo o acustico, interessato alle cose alte e nobili come alla scoperta e al sostegno dei nuovi talenti nelle arti.
Rappresentato a Venezia dal Teatro La Fenice che lo aveva commissionato: “ludodramma”, favola ironica e surreale di sinistra attualità in tempi di globalizzazione. Il particolarissimo clima teatrale, che sfugge ad una definizione univoca nella sua inafferrabile mobilità, è creato, fra l’altro, dall’affascinante scrittura orchestrale, dal succedersi incalzante e coinvolgente di invenzioni sonore di grande varietà, segnate in modo inconfondibile dalla personalità del compositore.
Per la capacità di rappresentare la complessità di riferimenti culturali dell’opera Die Gezeichneten di Franz Schreker (Palermo, Teatro Massimo) senza compiacimenti e con controllata scrittura visiva: magistrale è il “racconto” delle relazioni tra estetismo, erotismo e sessualità, culminante in una spettacolare orgia di vernici nel terzo atto; mentre la prefigurazione teatrale del tema del populismo rende il prezioso recupero operistico significativo anche per la sensibilità contemporanea.
Da anni il pianista barese si è affermato come uno dei più autorevoli testimoni nel variegato orizzonte della modernità, sempre attestando la consapevolezza dei legami con la tradizione. Particolarmente rilevante il rapporto con la musica degli Stati Uniti di cui ha esplorato, come esecutore ma anche come studioso, la complessità dei caratteri con esiti esemplari.
Controtenore che, in Rodelinda di Händel, rappresentata per la prima volta in Italia al Festival della Valle d’Itria, ha nobilitato il falsetto piegandolo, con insolito colore brunito e morbida densità di suono, alle necessità virtuosistiche di una delle più esemplificative parti scritte per la vocalità del castrato Senesino, rinnovandone la meraviglia belcantistica con commossa umanità di affetti.
Per la caparbia azione di salvaguardia e promozione dell’Archivio Studio Fonologia Rai Milano, che attraverso mostre, libri, documentari e l’allestimento al Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco ha sottratto alla distruzione e alla dimenticanza un patrimonio storico e d’arte musicale sperimentale, preservando il ricordo dei musicisti che vi hanno operato dal 1954 al 1983.
Per la bellezza e la coerenza fra messinscena e trama musicale, nella naturalezza e nel rispetto dell’articolazione scenica e degli snodi dell’azione, con limpidezza narrativa e felice caratterizzazione di ambienti e personaggi, nelle scene di Ferdinand Wögerbauer e nei costumi di Moidele Bickel, garantendo al denso capolavoro della modernità un respiro musicale e visuale che ne ha favorito la comprensione da parte degli spettatori.
Per la straordinaria interpretazione di “Da una casa di morti” di Janacek (Milano, Teatro alla Scala), reinventata con analisi minuziosa, traduzione sonora incandescente dell’orchestra, su un tessuto di voci maschili inquieto e cangiante; e per i ricchi diversi impaginati sinfonici presentati a Torino e Milano, con la Philharmonia di Londra per MiTo, a Ferrara con la MCO, e a Milano con la Filarmonica scaligera, concertati con rigore appassionato.
Per scene e costumi che costituiscono un valore aggiunto e insostituibile delle produzioni di Damiano Michieletto: la Nagasaki-quartiere a luci rosse, sfrontato e pregnante nel suo minimalismo fatto d’insegne luminose, della Madama Butterfly (Torino, Teatro Regio), il manicomio del Sigismondo, asettico evocatore di non celate nevrosi, (Pesaro, Rossini Opera Festival) e, soprattutto, il labirinto di stanze turbinanti e sempre eguali a loro stesse del Don Giovanni (Venezia, Teatro la Fenice), travolgenti nella loro schizofrenia, esaltavano e donavano originale vitalità narrativa all’azione drammaturgica.
Oggi una delle più valide incarnazioni dell’Helden–Soprano: in Die Walküre, che ha inaugurato la stagione della Scala sotto la direzione di Daniel Barenboim, si è imposta per l’autorevolezza della voce, il vivo senso della parola, la spiccata personalità artistica che le hanno permesso di fare emergere la complessità del personaggio di Brünnhilde, mirabilmente colto nelle sue ragioni musicali ed espressive.
Nata con intendimenti di ricerca sul suono sostenuti dall’incoraggiamento di Luigi Nono e di Claudio Abbado, la Rassegna ha girato felicemente la boa dei vent’anni con un’immagine progressivamente rafforzata grazie all’impegno mostrato nel seguire la produzione dei nuovi compositori, con esecuzioni sempre contrassegnate da un segno stilistico di indubbio rilievo.
Progetto innovativo, creato nel 2008 con la collaborazione di Carlo Delfrati, per avvicinare gli studenti e insegnanti delle scuole superiori alla musica contemporanea, attraverso uno specifico percorso didattico: orientato da un quaderno di lavoro-programma di sala appositamente realizzato che collega le discipline scolastiche curriculari al soggetto e alle tematiche dell’opera in prima assoluta presa in esame.